Superlega

Luca Vettori saluta Trento: ricordando Vaia, il respiro in alta quota e citando Mario Rigoni Stern

06.06.2020 22:47

 

di Nicola Baldo

 

Se nasci in Trentino o comunque ci vivi per un po' di tempo - e lo vivi davvero il nostro territorio - impari subito cosa voglia dire respirare in montagna. Con l'aria rarefatta dell'alta quota. E cosa voglia dire respirare la storia di un territorio così fortemente legato all'autonomia, al non restare con le mani in mano per la propria realtà. Concetti che lo stesso Luca Vettori, dopo tre anni a Trentino Volley, ha espresso sul proprio profilo Facebook per salutare la Città del Concilio. 

 

 

In montagna, come noto, si comincia a respirare. E potrebbe capitare di scoprire che non si è mai imparato davvero nel proprio modo. Lo si scopre tendenzialmente lungo il sentiero, arrancando, imprecando e misurando il proprio desiderio di arrivare in vetta.
Da quando sono arrivato a Trento ho in effetti iniziato a prendere dimestichezza con il respiro.
Tra le prime cose, mi hanno insegnato a soffiare via. C’è un albo illustrato magnifico edito Topipittori che racconta come una bambina allena il suo fiato corto. Mi sono trovato quindi a soffiare via il superfluo e a trattenere la preziosità del presente.
Poi ho conosciuto il sospiro. Che si dice porti sollievo, ed è così. Ma presto mi sono accorto che il sospiro che porta sollievo non è completo. Non è gioia pura. Assomiglia piuttosto a una prova scampata, a una sfida di cui ci si toglie il pensiero.
La gioia pura è arrivata come un urlo quando ciò che mi ero immaginato, ciò che avevo costruito quotidianamente era diventato reale.
Trento è una città profonda, dentro una valle profonda: il suo è un respiro lungo. Ogni tanto si riemerge sulla cima dei monti, ogni tanto si resta in basso, sul fondale, indicando le vette di cui s’imparano i nomi, indovinando il corso del sole. Quello che Trento mi ha donato è stata la vertigine di un’aria indimenticabile - una consapevolezza nuova e segreta: il respiro di chi crede nella propria forza e nella propria autonomia. Con gli altri è più bello, ma anche da soli si può. Il Mio respiro.
Tuttavia il respiro è come un setaccio: qualcosa resta, qualcosa fluisce. Ci si può organizzare bene per trattenere la materia fertile, la materia viva. Ma il respiro è anche come un vento ondoso: non si può controllare tutto.
Mi torna in mente che nel 2018 in Trentino (e non solo) c’è stata una tempesta: un vento spaventoso ha spazzato via interi boschi, sradicando e rivoltando la geografia di quei luoghi. La tempesta di Vaia. Ricordo quel pomeriggio di ottobre. Un vento caldo, malsano, irrequieto muoveva le chiome davanti alle finestre della mia abitazione a Trento. Per qualche istante ho avuto paura.
E similmente in questa primavera un’aria molesta, (qualcuno l’ha chiamata abilmente mal’aria) sotto forma di virus sottile, ci ha resi immobili, ha tolto non poca speranza, ha dato qualche nuovo pretesto, ha imposto il vuoto tra i corpi. E ci ha rubato il respiro, lo ha proibito.
Il percorso di lavoro iniziato a Trento non ha trovato la sua fine. Non ho salutato i miei compagni di squadra. Non abbiamo avuto un ultimo giorno. L’aria molesta ci ha privati dell’ultimo saluto, di un ultimo fiato urlato insieme. Del nostro ultimo respiro insieme. E fortuna che ho imparato a vivere la preziosità del presente. Perché il nostro presente insieme è stato grandioso.
Con l’arrivo del lockdown e delle sue fasi, il fiato è rimasto spaesato - senza paese. Dubbi, sogni, promesse lasciati in sospeso.
E proprio come quando qualcosa finisce ed altro ricomincia, questa era la settimana d'intercapedine. La settimana della cucitura. Il respiro profondo che entra. Pausa. Esce.
E invece l’incidente. Imprevedibile come una tempesta.
Quindi posso dire, oggi - per un soffio.
Per un soffio qui, a scrivere con la mano sinistra, a rispondere a chi mi incoraggia. A rassicurare chi si preoccupa: non è grave, sarò un po’ dolorante, ma presto di nuovo in sesto.
E non solo. Sono qui per un soffio, ovvero per farlo.
Per un soffio.
Perché questo soffio che ho imparato - mi vuole.

Dicendo piano un profondo grande grazie ai luoghi, ai volti e alle storie vissute insieme durante questi tre anni nella città di Trento, vi soffio un ultimo pensiero, affinché uomini e boschi possano continuare a curarsi a vicenda - respirando.

“In primo luogo imparò a pulire i tronchi dalla corteccia con l’apposito ferro lungo e stretto, semicurvo; imparò anche i rivoli nascosti dove da sempre boscaioli e pastori si recavano a prendere l’acqua per le loro necessità; e come accendere il fuoco anche sotto la pioggia… Imparò anche i versi degli animali del bosco all’avvicinarsi del temporale; e il variare delle stagioni osservando il comportamento degli uccelli e il trasmutare degli alberi; a distinguere le bacche buone dalle velenose; a sapersi curare ferite o contusioni con la resina e la creta.” (Mario Rigoni Stern)

Grazie, a presto!

 

 

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